Il Larice, Albero del Sole.

copertina agenda cai 2007: alberi colonne del cieloPropongo qui di seguito il testo completo del mio contributo alla realizzazione dell’Agenda 2007 del Club Alpino Italiano, a cura del Comitato Scientifico Centrale, dedicata al tema “Alberi: le Colonne del Cielo”.

Il Larice, Albero del Sole.

Nessun essere vivente al mondo riesce ad ascoltarti come sa fare un larice. Quando la vita diventa confusa ed opaca, quando la mente ingrigisce e senti il bisogno di fermarti, per riflettere e “riprendere la giusta via”, la semplice compagnia di questa grande conifera infonde una serenità senza eguali. Un larice non può parlarti, ma ti sospinge verso le verità che covi dentro te stesso e che la tua paura non ti fa trovare, ti aiuta ad alzare la testa, a delineare i contorni dei tuoi dubbi, a diradare la nebbia delle incertezze. E lo fa creando con la sua chioma, attorno a te, un ambiente magico, uno spazio di aria e luce che riempie, con lenti respiri, la tua anima esausta, donandole nuovo vigore. Quando, coricato ai suoi piedi, guardi verso il cielo, i tuoi occhi restano incantati dai continui, ritmici e tuttavia fievoli bagliori di luce che filtrano fra i suoi rami penduli, coronati da mille ciuffetti di foglie.

Così, quando il vento soffia, vedi ondeggiare il grosso ed elastico fusto, mentre i rametti lassù in alto danzano, creando una pioggia di stelle luccicanti che ti cadono dentro, scintille di luce che riverberano nella lanterna del tuo cuore. Quando poi ti alzi e te ne vai sommessamente, appena prima che sfugga alla tua vista, ti volgi verso il suo luminoso ed elegante profilo per un ultimo breve saluto, colmo di gratitudine, perché hai netta la percezione di essere migliore di prima. E’ questo che fa grande il Larice, è questa sua straordinaria capacità di infondere pace interiore e serenità.

Il genere Larix annovera 10 specie di piante arboree con fusto legnoso, che vegetano spontaneamente su areali che corrispondono alle regioni fredde di pianura, di collina e di montagna dell’emisfero boreale. Alle cinque specie di origine asiatica ed alle tre di origine americana si affiancano le due europee: il Larix decidua Mill., conosciuto come Larice europeo o Larice comune ed il Larix russica Endlicher, conosciuto come Larice della Russia. Nella prima specie, il Larice dei nostri boschi, si possono distinguere 8 varietà principali.

Il Larix decidua Mill. (la cui classificazione è dovuta a Philip Miller, botanico inglese che nel 1768 ne descrisse per primo le caratteristiche, seguendo lo schema classificatorio proposto da Linneo), è specie spontanea unicamente sui rilievi montuosi delle Alpi, il cui areale è il più esteso ed importante, dei Carpazi e dei Sudeti. La principale zona fitoclimatica popolata dal larice è quella del Picetum all’interno della quale tende ad occupare prevalentemente la sottozona del Picetum freddo, giungendo fino al limite superiore del bosco. Quando sconfina nella zona fitoclimatica superiore dell’Alpinetum, riesce a crescere solo in gruppi sparsi o come pianta isolata giungendo fino al limite degli alberi. Lo si rinviene con facilità anche a quote più basse nella zona del Fagetum di cui predilige la sottozona del Fagetum freddo.

Il fattore ecologico che limita la diffusione del larice non è dato dalle rigide temperature invernali, cui risulta sostanzialmente indifferente fino a valori di 20-25 gradi sotto lo zero (con punte che possono scendere anche sotto i -30°C), ma dalla contrazione del periodo vegetativo che compromette la maturazione dei semi. Il larice forma estesi boschi puri, i fiabeschi ed incantatevoli lariceti, popolamenti naturali radi sul cui luminoso suolo prosperano le erbe dei prati.

Il larice è una pianta che soffre le ampie variazioni della temperatura media durante il periodo vegetativo (stenoterma) ma, al contempo, si adatta con plasticità alla variazione di altri fattori ecologici (euriecia) da cui trae la capacità di occupare, potenzialmente, vasti areali; prospera nelle zone con aria asciutta e temperatura media annuale da +2°C a +10°C (a tal riguardo si definisce specie microterma) ma teme le gelate tardive che possono arrecare gravi danni tanto agli organi di riproduzione che alle giovani e tenere foglie. Definito da molti “albero del sole”, il larice è specie spiccatamente eliofila che, sfruttando questa sua peculiarità, costituisce spesso il primo soprassuolo arboreo pioniero, riuscendo a svilupparsi più delle altre specie forestali dove il suolo è scoperto e, conseguentemente, il sole investe direttamente le chiome.

Per quanto riguarda la piovosità media annua, le migliori condizioni sono offerte dalle zone con precipitazioni tra un minimo di 700 ed un massimo di 1200 mm di pioggia all’anno distribuite omogeneamente lungo il corso del periodo vegetativo. In relazione all’umidità del suolo, il larice trova le migliori condizioni su terreni con un tasso di umidità medio (specie mesofita), disdegnando sia quelli troppo umidi o con ristagni d’acqua, sia quelli aridi e poco profondi. In termini di fertilità del suolo questa pianta non ha particolari esigenze (è la meno esigente fra le conifere alpine) oltre ad essere insensibile alla matrice minerale da cui il suolo stesso si è evoluto, adattandosi quindi a qualsiasi tipo di suolo purché sia sufficientemente profondo. Le caratteristiche ecologiche fin qui elencate, fanno del larice una specie di grande plasticità, estremamente utile nel colonizzare terreni poveri, scarsamente fertili, che contribuisce a far evolvere preparando l’insediamento di specie più esigenti in termini di fertilità del suolo (abete rosso, abete bianco, faggio).

Talvolta, più frequentemente al limite superiore del bosco, ma anche all’interno di popolazioni ben affrancate, il larice può assumere forma a più fusti principali, detta anche a “candelabro” (forma policormica), contrapposta alla normale forma monocormica, ossia con un solo fusto principale al quale sono inseriti i rami. Tale forma irregolare è causata da traumi che colpiscono l’apice vegetativo principale al quale si sostituiscono uno o più rami del palco immediatamente sottostante l’amputazione. L’apparato radicale è molto esteso e robusto, con fittone verticale profondo e grosse radici portanti laterali che, nel loro insieme, generano una figura simile ad un cono rovesciato. Questa particolare disposizione delle radici permette al larice di rinforzare la stabilità dei suoli, in particolar modo di quelli sviluppati sui ripidi pendii, opponendo alla forza gravitativa, che tende a farli scivolare verso valle, il fitto reticolo che le costituisce.

Questo grande albero, trova sempre un posto dentro al cuore degli uomini che abitano la montagna; quando i nostri emigranti tornano e ripercorrono il loro passato, mentre giovani, prima di lasciare il loro paese, aiutavano i propri genitori nei lavori boschivi o nella fienagione, affiorano i ricordi legati a questo loro Compagno (sugli erti pendii che venivano sfalciati il larice era “sacro”), mentre non hanno parole per l’abete rosso, “al pezuó”, pianta di grande utilità ma, evidentemente, senza anima. Sul piano del paesaggio, la mutevolezza stagionale dell’abito del larice ed il suo elegante portamento, conferiscono al paesaggio stesso ed all’ambiente una limpida bellezza. Camminare in un lariceto, in autunno appena inoltrato, senza alcuna mèta, senza alcun bisogno di “tornare”, è una esperienza “mistica”, fors’anche “terapeutica” che ti resta dentro per sempre.


Scheda della pianta

Famiglia: pinaceae

Genere e specie: Larix decidua Mill.

Forma biologica e caratteristiche: il larice è la sola conifera indigena spontanea a foglie caduche; albero di prima grandezza, il suo fusto può raggiungere l’altezza di 40 e più metri e 1,5 metri di diametro a petto d’uomo. Pianta di rapido accrescimento, molto longeva potendo superare tranquillamente i 400 anni di età, ha una chioma rada e leggera a forma piramidale, la cui punta tende ad appiattirsi nei soggetti maturi. Il tronco colonnare, slanciato, si sviluppa in altezza con incrementi di tutto rispetto fino ad età avanzata; ai grossi rami del primo ordine, che tendono ad incurvarsi al centro, ripiegandosi verso l’alto all’estremità, si inseriscono i rami degli ordini superiori via via più sottili, più o meno patenti o penduli. La parte esterna della corteccia (scorza) è di color paglierino nel primo anno, liscia e di color grigio argenteo sul fusto e sui rami delle piante giovani, via via più rugosa, incisa da larghe fenditure lungo lo sviluppo del fusto e di colore bruno o grigio, più o meno scuro, nelle piante adulte. Le foglie sono lineari, aghiformi, lunghe da 10 a 35 mm e larghe 1, leggermente appuntite ma non pungenti, riunite in ciuffetti di 20-40 unità su rametti molto corti detti brachiblasti, di colore verde tenero in primavera, che si scurisce leggermente durante l’estate per trasformarsi in giallo oro in autunno. Le foglie dei rami di accrescimento sono invece singole, più lunghe, larghe circa il doppio di quelle brachiblastali e compaiono per una sola stagione vegetativa. Il larice è monoico avendo ben distinti gli apparati di riproduzione maschili e femminili; i “fiori” maschili sono costituiti da brattee riunite a spirale a formare strobilini solitari e pendenti di color giallo oro, molto numerosi; quelli femminili, gli strobili, più grandi, sono anch’essi costituiti da brattee riunite a spirale a formare un cono ingrossato ovoidale, eretto, normalmente di colore rosso-porpora, molto simile ad un vero fiore. A fecondazione avvenuta (l’impollinazione è operata dal vento) lo strobilo (cono o pigna) assume un colore verde, verde-bruno, che perdura per tutto il periodo vegetativo per diventare, in autunno, di colore bruno-dorato, raggiungendo le dimensioni di 3-5 cm. Le squame, piuttosto coriacee, a maturità si aprono gradualmente per effetto della disidratazione liberando i due semi alati, lunghi circa un centimetro e di colore bruno, che ognuna di esse protegge, e che possono così essere trasportati dal vento. La produzione di seme fertile è piuttosto precoce avvenendo dai 15 ai 30 anni, in funzione delle stazioni di accrescimento; la maturazione è annuale dalla fine di ottobre a novembre, mentre la disseminazione anemofila si ha a partire dal tardo autunno, inizio dell’inverno.

Fioritura: aprile-maggio.

Habitat elettivo: il Larice trova il suo habitat naturale nella fascia altitudinale, riferita alle Alpi occidentali e centrali, compresa tra 800 e 2600 m di quota, mentre per le Alpi orientali la fascia si colloca tra 800 e 2200 m. La sua notevole plasticità ecologica gli consente di essere presente in condizioni molto diverse fra le quali si ricordano i lariceti di prateria, quelli che si formano al limite delle zone paludose, i lariceti su matrice carbonatica in alternanza con il pino silvestre ed i lariceti puri di versante. In linea più generale si può affermare che il lariceto si afferma tanto nelle vallate esterne del sistema alpino, caratterizzate da clima oceanico, quanto in quelle più interne a clima continentale, che peraltro predilige.

Diffusione: nel nostro paese è presente dalle Alpi marittime alle Alpi orientali sia in boschi puri che in boschi misti nel qual caso le consociazioni con l’abete rosso (Picea excelsa Link) ed il pino cembro (Pinus cembra L.) sono le più frequenti ed importanti; si accompagna tuttavia anche con l’abete bianco (Abies alba Mill.), il pino silvestre (Pinus sylvestris L.) ed il faggio (Fagus sylvatica L.). Il larice è stato introdotto artificialmente in quasi tutte le regioni italiane nelle quali la specie non era spontaneamente presente ed oggi si rinviene anche sui rilievi dell’Italia meridionale ed insulare. Nelle statistiche forestali Istat per l’anno 1991 le estensioni dei boschi di larice, in ettari, sono così ripartite (per alcune regioni): Piemonte (46.940), Trentino Alto Adige (21.138), Valle d’Aosta (13.531), Lombardia (13.489), Veneto (3.128). Il dato nazionale relativo alla superficie totale occupata da boschi di larici risulta essere di 103.444 ettari mentre, per confronto, quella dell’abete rosso, la conifera più diffusa, è di 140.517 ettari e quella dell’abete bianco di 22.751 ettari.

Utilizzi: il larice fornisce un ottimo legno, compatto e duro, di elevato peso specifico e forte contenuto resinoso che gli conferisce la sua proverbiale durabilità. Il legname migliore si ottiene da piante cresciute in alta montagna, che hanno minor numero di nodi, anelli di accrescimento molto appressati ed omogenei. Viene impiegato prevalentemente per lavori all’esterno ed a contatto con il suolo ma anche in costruzioni idrauliche, navali e marittime, capriate, solai, pavimenti, abitazioni prefabbricate. Il tondame viene utilizzato per fondazioni, costruzioni di arce a sostegno di pendii o nella regimentazione delle acque di superficie. I rami e gli scarti di lavorazione forniscono un’ottima legna da ardere. Infine, anche se molto meno tenero del cirmolo, il legno del larice è utilizzato nella realizzazione di sculture di grande pregio.Oltre al legname, il larice produce anche un’ottima resina, estratta praticando un foro alla base del fusto, di colore giallo intenso, che emana un forte e gradevole odore, dalla cui lavorazione e successiva filtrazione si ottiene la ben nota “Trementina di Venezia”.